MACROECONOMIA: IN QUALE DIREZIONE STIAMO ANDANDO?
- Azzurra Celia Visconti
- 27 nov 2019
- Tempo di lettura: 5 min

Un' analisi approfondita ci porta a comprendere meglio, con i giusti strumenti, come si sta direzionando l'economia mondiale
È un po’ la domanda che ci facciamo tutti, specialmente economisti e addetti ai lavori. Bisogna, però, distinguere tre scenari distinti: quello europeo, statunitense, asiatico e mercati emergenti.
QUADRO EUROPA
Partendo dal Vecchio Continente, nel mese in corso, i dati macroeconomici sono risultati deboli ed in peggioramento rispetto alle attese. Gli indicatori anticipatori non forniscono segnali incoraggianti del ciclo economico, ponendo scarse aspettative di una ripresa nel breve periodo, malgrado l’ampio supporto fornito dalla politica monetaria.
Le vendite al dettaglio del mese di agosto sono risultate in aumento dello 0.3% sul mese e in crescita del 2.1% su base annua, con la produzione industriale che è risultata peggiore delle attese ed in contrazione del 2.8%, sempre su base annua.
Passando all’inflazione, al mese di settembre, i dati hanno evidenziato un’ aggregazione stabilizzata sull’1%, con l’indice core (al netto di beni energetici ed alimentari) rimasto fermo allo 0.9%.
I dati di fiducia continuano a rimanere deboli a livello aggregato, soprattutto nel settore manifatturiero, con l’indice PMI ampiamente sotto la soglia di 50; mentre quelli relativi ai settori servizi, sia in Francia che in Germania, rimangono sopra il livello di 50, anche se in leggero calo nelle ultime rilevazioni di settembre.
Tutte le attese sono per l’inizio del nuovo pacchetto di QE da parte dell’ECB European Central Bank (pari a 20 miliardi al mese senza limiti di durata ma legato al raggiungimento dei target di inflazione), i cui dettagli saranno annunciati nella prossima riunione della Banca Centrale Europea, soprattutto alla luce dei dati di crescita e inflazione costantemente riviste al ribasso.

Un altro aspetto molto importante è quello politico: si è registrata una fase di maggior ottimismo in riferimento al processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. È stato infatti trovato un nuovo accordo sullo spinoso tema dello spazio economico tra Irlanda e Irlanda del Nord. Rimane, ora, l’approvazione del documento che si trova al vaglio del parlamento inglese. L’esito si presenta probabile anche se ancora incerto.
QUADRO STATI UNITI
La parentesi USA mette al centro i delicati rapporti e la “guerra commerciale” che si è venuta a creare fra Stati Uniti e Cina. I dati emersi, nel corso del mese di ottobre, nel paese a “Stelle e Strisce” sono deboli, ma pienamente in linea con le aspettative degli analisti.
Come anticipato, il sentiment continua ad essere penalizzato dall’incertezza legata alle tensioni fra le due superpotenze con i due paesi che, a fine ottobre, hanno raggiunto una tregua temporanea: questa prevede che la Cina non utilizzi il cambio come “arma” commerciale, liberalizzi alcuni settori e compri più derrate agricole dagli Stati Uniti.
A loro volta, gli USA si impegnano a rimandare il rialzo dell’aliquota dei dazi prevista a fine ottobre sulle importazioni dalla Cina. L’accordo raggiunto tra le due delegazioni dovrà ora essere formalizzato e ratificato dai presidenti Trump e Xi nel corso dell’Apac meeting tenutosi in Cile a metà novembre.
Passando ai dati sull’andamento economico, osserviamo:
La produzione industriale del mese di settembre, rispetto al mese precedente, è risultata in calo dello 0.4%, andato oltre le attese, con l’utilizzo della capacità produttiva peggiorato dal 78% al 77.5%.
Il report sul mercato del lavoro ha evidenziato 136.000 nuove assunzioni, leggermente al di sotto delle aspettative anche per effetto della revisione positiva del mese precedente. Il tasso di disoccupazione è in miglioramento al 3.5% e quello di partecipazione stabile, in virtù del maggior numero di persone che si sono affacciate al mercato del lavoro.
L’indice che monitora l’andamento dei salari mostra una crescita su base annua del 2.9%; il trend in atto sui salari appare coerente con un’economia sostanzialmente in piena occupazione e pone dubbi in merito alla tenuta dei già elevati margini aziendali.
Le vendite al dettaglio, in settembre, sono rimaste ferme rispetto al mese precedente con il tasso di crescita YoY al 4%; stessa dinamica per i prezzi al consumo cresciuti al +1.7% YoY, mentre lo stesso indicatore al netto delle voci più volatili (alimenti e beni energetici) è risultato in salita dal 2.2% al 2.4% YoY.
Osservando i dati di sentiment (i così detti “soft data”, perché basati su sondaggi) si denota la costante fiducia dei consumatori americani, grazie al buono stato di salute del mercato del lavoro ed ai tassi di interesse che permettono di abbassare le rate sui mutui.
Al contrario, le survey aziendali continuano a mostrare debolezza del settore manifatturiero più legato ai settori esposti alla trade war (l’ISM manifatturiero è sceso ulteriormente da 49.1 a 47.8 in settembre); il settore dei servizi è ancora in salute, anche se in rallentamento con il PMI fermo sopra la soglia critica di 50, che segnala lo spartiacque tra crescita e contrazione.
QUADRO ASIA E MERCATI EMERGENTI
Il mese è stato caratterizzato da un “deal parziale” nel conflitto dei dazi tra Cina e Stati Uniti, che ha creato un presupposto per il rimbalzo dell’intero comparto degli Emergenti. Da un punto di vista macro, per quanto riguarda la Cina, il dato di settembre del Caixin Pmi resta improntato al cauto ottimismo nel manifatturiero, che si è confermato ancora oltre lo spartiacque di 50, in risalita anche rispetto ad agosto.
Il dato composite, d’altro canto, è sempre rimasto al di sopra di 50 con i servizi che si confermano ancora in buona condizione; anche la produzione industriale ha risentito positivamente dei leggeri progressi messi a segno sia dalla politica che dal sostegno della banca centrale. La lettura di settembre è stata decisamente in ripartenza al 5.8%, dopo due letture (luglio e agosto) al 4.8 e 4.4% che indicavano chiaramente come la Cina stesse soffrendo la mancanza di un concreto progresso sul tema della cosiddetta “trade war”.

La retorica della banca centrale cinese, inoltre, sembra essere comunque lontana da quella delle altre grandi banche centrali mondiali. Pur continuando a pungolare l’economia da più fronti, infatti, continua a non voler intraprendere uno stimolo monetario od un QE per seguire la FED o la ECB.
Il credit impulse, in forte salita dalla fine dell’anno scorso, sembra infatti aver trovato qualche rallentamento nei mesi estivi. Al di fuori della Cina, sembra corale il tentativo di seguire la Fed e l’Ecb nella propria politica espansiva, con le principali banche centrali dei paesi emergenti che si sono subito accodate e hanno intensificato gli interventi a supporto della crescita nelle rispettive aree.
Il Brasile è in ripresa ciclica grazie all’agenda della riforma delle pensioni; l’Indonesia beneficia di bassa inflazione e di una domanda domestica ancora molto ben supportata dalla politica di spesa governativa.
Chiudiamo con la Russia è in condizione di profittare della discesa del prezzo del petrolio, anche se rimane sempre molto ardua la valutazione del rischio geopolitico sottostante.
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