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DECREMENTO ECONOMICO E RECESSIONE: ESISTE UNA VIA D’USCITA?



L'economia mondiale sta attraversando, forse, una delle sue fasi più delicate. Occorre una  riflessione generale su obiettivi e strumenti della politica monetaria ed economica, per capire come venirne fuori


In tempi dove le parole recessione e decremento economico, non solo suonano come un campanello d’allarme poco simpatico, ma spaventano pure, quello che continuiamo a domandarci tutti quanti, da economisti, addetti ai lavori, esperti del settore, investitori, per arrivare al comune risparmiatore, è come venirne fuori da questa situazione che, ormai, non solo è diventata stagnate ma sembra essere una “never ending story”


E non parliamo solo del Vecchio Continente, ma di una situazione globale, America, Asia, comunque la si voglia vedere, nessuno ne esce completamente indenne. Serve capire cosa ci ha portati a questo, cause… comportamenti, effetti … banche, politiche monetarie, rendimenti governativi, tassi di interesse.


BANCHE CENTRALI E CURVE DI RENDIMENTO

Se è vero che molto ruota intorno a loro, muovendo delicati equilibri di quasi tutti i Paesi del globo, è giusto addentrarci a capire come, le banche, si sono mosse e si stanno muovendo in questi anni, partendo da una semplice considerazione di carattere puramente temporale.

Le curve di rendimento di molte economie avanzate, ultimamente, hanno invertito la rotta puntando verso il basso: è calata la loro volatilità e la pendenza fino ad invertirsi: siamo arrivati ad aver tassi d’interesse a breve termine, superiori rispetto a quelli a lunga scadenza.

La parziale risposta a questa situazione, va ricercata nella crisi finanziaria traslata all’economia reale, iniziata più di un decennio fa, là dove le principali banche sono intervenute adottando politiche monetarie non convenzionali.

Gli interventi, come abbiamo sottolineato, sono partiti con tempistiche diverse che, a volte, hanno finito per coincidere e sovrapporsi: Federal Reserve System, Bank of England, European Central Bank e aggiungiamo anche Bank of Japan sono intervenute a sostegno delle proprie aree valutarie seguendo tre canali guida


  • FOWARD GUIDANCE (indicazioni prospettiche)

  • TAGLIO DEI TASSI D’INTERESSE

  • QUANTITATIVE EASING (QE)*


*programmi di acquisto di titoli su larga scala con cui hanno immesso sul mercato un'enorme quantità di liquidità.



Questo “modus operandi” ha messo in evidenza un rigonfiamento di notevole portata, esagerato, dei bilanci delle banche: i dati sono chiari:


  • European Central Bank (BCE) + 216%

  • Bank of England (BoE) + 380%

  • Federal Reserve System (FED) + 344%


Il tutto facendo precipitare ai minimi storici i tassi d'interesse, sopratutto in Europa, con la conseguenza di vedere rialzarsi gli indici azionari. L’economia globale è in rallentamento.

Rimanendo nello spazio temporale dell’ ultimo decennio, se esaminiamo l’andamento del PIL notiamo, come in questo arco di tempo, quest’ultimo sia pressoché cresciuto costantemente negli Stati Uniti. Il supporto della BCE ha fatto sì che, anche in Europa, il PIL tornasse a crescere, finendo il 2018 con una media di un +1,9%. Parliamo di media dal momento che l’unione monetaria europea racchiude una certa eterogeneità fra i paesi membri, per esempio: abbiamo avuto il PIL tedesco a +1,4%, quello dell’ Italia a +0,9%.


Al giro di boa dei primi tre mesi e inizio del secondo semestre 2018, sono emersi i primi sintomi di un rallentamento nell’economia. Partendo dalla flessione USA, l’ analisi trimestrale ha messo in luce che l’economia nel Paese di Donald Trump è calata: si è passati dal 4,2% del secondo trimestre, al 2,2% del quarto, per un – 2%, seguito da un parziale recupero nei primi tre mesi 2019, salendo al +3,1%. Anche in area Euro non sono mancati sintomi di cedimento. Con le prospettive di crescita al ribasso, le banche centrali si sono messe subito in azione per rivedere i piani di normalizzazione della politica monetaria.


Alla luce di queste prospettive, la prima a muoversi, ad inizio di gennaio, anche per le evidenti pressioni del suo Presidente (oltre che per la tendenza al ribasso dei principiali indicatori dell'inflazione attesa) è stata la FED con il suo N°1, Jerome Powell. Indietro tutta: in “lista d’attesa” è finito il rialzo dei tassi sui Federal Funds e contemporanea apertura ad una revisione del percorso di tapering, ossia di ridimensionamento degli attivi della banca centrale.

Le previsioni di crescita per il 2019 di non oltre il 2,5%, nella migliore delle ipotesi, le tensioni con l’Iran hanno, ben presto, cancellato positivismo ed entusiasmo.

Le conferme non hanno tardato ad arrivare con segnali provenienti dai mercati finanziari che fanno preoccupare. Nel mese di marzo c’è stata una netta inversione della curva di rendimento sui Titoli di Stato USA: rendimenti a breve termine, 3 mesi, precipitati a picco su quelli a lungo,  2 anni e anche a 10!


USA E RECESSIONE: CURVA DEI RENDIMENTI SUI TITOLI GOVERNATIVI

Corsi e ricorsi storici alla mano: sappiamo bene che un fenomeno di questo genere si manifesta all’orizzonte fra i 3 ai 4 trimestri prima dell’inizio del fenomeno tanto temuto: la recessione.

Quando nell’aria, galleggia questa parola, con gli investitori che fiutano il momento economico negativo, la “parola d’ordine” diventa: bene di rifugio! Uno dei più “classici” è il Titolo di Stato a lunga scadenza (generalmente quello decennale): operatori e investitori si proiettano qui facendone salire i prezzi e calare i rendimenti.

A questo quadro, che già di per sé non è incoraggiante, si vanno ad aggiungere le aspettative legate all’ inflazione, evidenziate dal calo delle quotazioni sugli inflation swap (tasso swap sull'inflazione di pareggio a cinque anni su un orizzonte quinquennale) e dall'assottigliamento del differenziale tra i rendimenti impliciti dei titoli di Stato ordinari e quelli indicizzati all'inflazione. Differenziale che rappresenta l'inflazione di equilibrio percepita dagli operatori. I mercati, di conseguenza, si accontentano nel medio-lungo termine di un minor premio al rischio e tassi d'interesse più bassi in questa parte di curva.


La FED di New York, a questo punto, sull’analisi degli spread tra i rendimenti a 10 anni e quelli a 3 mesi, valuta la probabilità di recessione sui 12 mesi a venire. Poco prima dell’ inizio dell’estate, alla fine del mese di maggio, le probabilità di recessione si aggiravano intorno al 30%, le stesse di luglio 2007, poco prima dell'ultima recessione americana.


RECESSIONE QUALI PROBABILITÀ? INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI GOVERNATIVI USA

Esistono altri indicatori che segnalano un rallentamento dell’economia americana ed europea. Stando alle ultime rilevazioni, nel manifatturiero newyorchese, l’indice delle condizioni di business percepito è sceso in verticale del 148% e stando all’ indice Bloomberg del sentiment degli analisti la situazione macroeconomica è in negativo dallo scorso autunno.

Nonostante il fatto che in Usa e in Europa, al mercato finanziario, siano arrivati segnali positivi dalle banche, vige ancora molto scetticismo. Facciamo un salto a ritroso nel tempo: quando la FED aveva dato un taglio ai tassi, 400 - 500 erano i punti base prima di finire in allarme. Questo era il margine di manovra a disposizione. Oggi non è più così: parliamo della metà di quella del 2007, il limite superiore al tasso-obiettivo sui Federal Funds è 2,5%.


In Europa, la BCE ha messo, per la prima volta, sotto zero i buoni del Tesoro francese (OAT) fino alla scadenza dei 10 anni. Ancora peggio va ai Bund (Bundesanleihen), titoli di Stato a medio lungo termine emessi dalla Germania, che scambia a rendimento negativo sino alla scadenza dei 15 anni.

In ultima analisi, osserviamo che, oggi come oggi, le curve dei rendimenti sui titoli di Stato delle principali aree valutarie si somigliano tutte. Da quelle USA, al Regno Unito, Australia, Canada, Germania e Giappone hanno tutti lo stesso denominatore comune: sono appiattite o addirittura invertite.

RESTO DEL MONDO: QUALI CURVE DEI RENDIMENTI GOVERNATIVI?


GIAPPONE: la Banca Centrale Giapponese (BoJ), già da diversi anni, ha modificato i propri obiettivi: partendo dal controllo dell'inflazione per arrivare in ultima analisi ad una politica sui tassi d'interesse (yield control). In altre parole, la BOJ punta a determinare il livello dei tassi di interesse sui titoli governativi giapponesi, sia nel lungo (0%) che nel breve periodo (-0,1%), attraverso una forward guidance (spiegando al mercato i tassi obiettivo compatibili con la stabilità monetaria) e le opportune operazioni di mercato aperto.


EUROPA: questo passaggio allo yield control (controllo del rendimento), a livello internazionale, è un punto focale di discussione e analisi internazionale su nuovi orizzonti delle banche centrali: negli Stati Uniti potrebbe diventare realtà già dal prossimo anno. Se oltreoceano l’ipotesi appare vicina (si parla, come accennato, del 2020), nell’area Euro una riforma di questa portata potrebbe andare incontro a maggiori difficoltà a causa dello spread: bisognerebbe tenere sott’occhio, contemporaneamente 19 curve dei tassi d'interesse. Su due fronti, dunque, deve muoversi il Vecchio Continente se intende adottare questo sistema:

ripristinare un' unica curva dei rendimenti per tutti i paesi membri

restituire a questa curva un andamento “normale”.

Se la BCE puntasse decisa, attraverso le banche centrali nazionali (BCN), agli acquisti di titoli di Stato sui paesi più indebitati, questi obiettivi potrebbero essere portati avanti di pari passo, contemporaneamente. Nel contempo si dovrebbe “accantonare” il criterio della capital key: ovvero quelle quote che sono stabilite prendendo in considerazione l'andamento del PIL e della popolazione nei singoli Paesi dell' Eurozona. Quindi è tramite la capital key che la BCE effettua gli acquisti di titoli, dove maggiore è la quota, più titoli vengono acquistati.

Adottando questo sistema a “guadagnarci” sarebbe la normalizzazione. All’interno dell’ area Euro avremmo un chiaro segnale, implicito, di condivisione dei rischi (risk sharing). Di fatto si renderebbero facoltative le Banche Nazionali Centrali (BNC), dei paesi con un debito elevato, a prendersi in grembo più rischi sotto lo scudo dell’ Eurosistema. Si tratta, in pratica, di un primo “abbozzo” di risk sharing, almeno per quanto riguarda la parte eccedente la capital key.



PAESI INDEBITATI: Purtroppo, in questo “triste” elenco, a far compagnia ad altre Nazioni, figura anche l’Italia: cosa accadrebbe nell’ipotesi sopracitata? I paesi fortemente indebitati avrebbero un sostegno nell'assorbimento del loro eccesso di offerta di titoli di Stato, contestualmente, il calo nella domanda di Bund, permetterebbe alla Germania di restituire rendimenti positivi con beneficio per il suo sistema economico-finanziario.


Di quale entità e quanto durerà l'intervento? Tempistica e portata sarebbero “limitati”, a patto che sia ben chiaro un fattore importante: non è ipotizzabile, né percorribile l’ipotesi di un’ eventuale uscita dall’Euro!


Le difficoltà per far fronte a questa situazione di portata mondiale sono davvero tante. Stiamo attraversando una fase delicata di riflessione generale, da parte di tutti, su obiettivi e strumenti della politica monetaria ed economica. Siamo alla ricerca di una quadratura che porti ad una condizione di stabilità non solo a livello nazionale, ma di un’ Unione Monetaria Europea.

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